Il 25 Novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
La parola “femminicidio” identifica un fenomeno molto ampio che include, oltre all’omicidio, una molteplicità di condotte, quali: maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa o ancora economica, agite prevalentemente da uomini, in ambito lavorativo, familiare o sociale. Nel loro insieme, quindi, si fa riferimento a comportamenti che minano la libertà, la dignità e l’integrità di una donna, e che possono culminare nell’assassinio, nel tentativo di uccisione o in gravi forme di maltrattamenti. Secondo i dati ISTAT, negli ultimi dieci anni, più della metà dei femminicidi ha interessato donne appartenenti ad una fascia d’età compresa tra i 25 e i 54 anni. Ciò che guida, ancora oggi, questa forma di violenza può essere rintracciato nella disparità dei rapporti tra i sessi, tanto che la Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu definisce la violenza contro le donne come “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
Perché ci sono uomini che uccidono le donne?
Rabbia e impulsività sono fattori determinanti nell’uccisione di una donna. Dal punto di vista psicologico, il femminicidio impulsivo è caratterizzato da alcune peculiarità: la minaccia per la perdita di qualcosa che appartiene, la rabbia esplosiva e l’impulsività che trasforma la rabbia in comportamenti di attacco e di violenza espressa. L’innesco della violenza è spesso generato dal sentimento di minaccia di abbandono che l’uomo avverte quando realizza che la “sua” donna vuole lasciarlo, costruirsi una vita indipendente o con un altro partner. Questo timore produce un senso di disperazione, impotenza, fallimento e solitudine. Ma se un uomo sano è capace di affrontare la perdita accettando l’ineluttabilità di ciò che è accaduto e sentendosi capace di superarne il dolore con il tempo, ve ne sono altri incapaci di questa matura accettazione della sofferenza e della perdita che eludono queste emozioni tristi dando la colpa all’altro, alla sua crudeltà e alla sua ingiustizia. Giunge allora la rabbia, contraddistinta da emozioni violente e contrastanti di passione e aggressività verso la donna che, non rispettando il desiderio di vicinanza e dipendenza dell’uomo, può trascurarlo e allontanarsi. La rabbia ha una fondamentale funzione umana: segnala la presenza di un’ingiustizia e crea una spinta verso la riparazione del danno subito. È un’emozione forte che richiede un’adeguata regolazione: l’uomo che commette un femminicidio è un uomo che, soggiogato dalla propria rabbia, non è capace di governarla e metterla al servizio di un discorso, ma la fa esplodere agendola sull’altro con violenza. L’impulsività e la rabbia sono collegate da un filo potente. Non esiste emozione rabbiosa disregolata che non abbia come esito comportamenti impulsivi. Per fortuna, non tutte le crisi di rabbia determinano l’uccisione di una donna, ma possono manifestarsi attraverso violenza verbale, aggressività verso cose o oggetti, o aggressività fisica in forme più “blande” (schiaffi, spintoni, ecc.). Ma il rischio rimane comunque molto grande: sono noti casi di cronaca in cui una donna muore perché uccisa consapevolmente in una crisi di rabbia incontrollata o muore, accidentalmente, perché ha sbattuto la testa contro il muro dopo una spinta troppo forte.
È possibile salvarsi da un uomo violento?
Contro il femminicidio la prevenzione non è tutto, ma, in alcuni casi, può davvero salvare la vita. Ci sono uomini che esibiscono comportamenti violenti anche subdoli e le donne dovrebbero imparare a coglierne i segnali ed, infine, trovare il coraggio di chiudere una storia che non può portare ad altro che esiti dolorosi. Rispetto ad altri tipi di violenza, quella psicologica è più complicata da individuare perché non lascia segni visibili, anche se le conseguenze possono essere ugualmente devastanti sia a livello psicologico che fisico. In generale, si è in presenza di questo tipo di violenza quando una persona utilizza nei confronti dell’altra atteggiamenti denigranti che si insinuano gradualmente nel tempo con l’obiettivo di averne il controllo.
Ma quali sono i campanelli di allarme per riconoscere un partner che fa violenza psicologica?
Ti svaluta continuamente e butta a terra la tua autostima
Il partner che vuole minare l’autostima della donna le ripete in maniera insistente frasi del tipo: “Senza di me non vali nulla!”, “Se ci lasciamo non troverai nessuno che ti amerà come me”, “Sei sola”… Queste verbalizzazioni portano la vittima a sentirsi in una vera e propria prigione attraverso una perdita graduale dell’indipendenza psicologica e, spesso, anche di quella economica. Ciò non fa altro che alimentare tale relazione tossica e mantenere la vittima legata ad un doppio filo con il suo aggressore.
Vuole avere il controllo assoluto dei tuoi affetti ed è spesso geloso in maniera ingiustificata
Ti insulta e ti minaccia
Il compagno che vuole usare violenza psicologica di solito è un individuo controllante, che tempesta la donna di telefonate quando è in giro da sola, vuole sapere con chi è, dove si trova, come è vestita. La gelosia ingiustificata può trasformarsi in stalking e, con la scusa della protezione, l’uomo cerca di isolare la donna, trattandola come un oggetto di proprietà. Il controllo della vittima e la sua svalutazione avvengono principalmente attraverso le parole. Sarcasmo ingiustificato, insulti, critiche e minacce alimentano nell’altra persona una sensazione di inferiorità, causando la perdita dell’autostima e la paura costante di far arrabbiare l’altro. Spesso le minacce non riguardavano solo la donna ma si estendono anche alla sua famiglia. Per le donne che non riconoscono i segnali o decidono di ignorarli, e che magari si sposano o mettono su famiglia con questi individui, la situazione peggiora notevolmente con la convivenza.
Limita gravemente la tua autonomia morale ed economica
Dalla vigilanza continua sugli spostamenti, al controllo ossessivo dei soldi sino alla reclusione. Spesso le testimonianze raccontano una vera e propria prigionia, caratterizzata da umiliazioni e continui attacchi all\’autostima che hanno portato ad un disagio emotivo importante, ma anche dal controllo delle sostanze economiche della famiglia per limitare le possibilità della donna di rendersi indipendente, sino ad arrivare anche a divieti restrittivi della libertà di pensiero, come quello di leggere un libro, di vedere la tv o di navigare in internet. Il partner ha paura che la donna si informi, sviluppi un pensiero autonomo e lo abbandoni. Si comincia con un “non c’è bisogno che lavori” e avanti così.
Insiste continuamente per ottenere rapporti sessuali
Capita spesso che il partner prevaricatore lo sia anche nel rapporto sessuale, rivelandosi eccessivamente insistente con la donna anche quando lei non ne manifesti la voglia. Alcuni giustificano anche i tentativi di abuso con “il troppo amore“.
Minimizza il problema e manifesta falsi pentimenti
Spesso, le persone vittime di violenza psicologica non si rendono conto di trovarsi in un rapporto tossico perché l‘aggressore tende a far pensare che la situazione sia normale e che quindi sia l’altra persona ad essere esagerata o troppo sensibile. Questo sentimento di colpa rende la vittima ancora più isolata e indifesa. In alcuni casi l’aggressore potrà mostrare falso pentimento per le sue azioni; si mostra pentito e disperato, giurando che cambierà solo per amore, riuscendo così a convincere l’altro a restare nella relazione. Bisogna a quel punto raccogliere la forza e interrompere i rapporti. Se sei vittima di violenza non aspettare più che “lui cambi”! Oggi esiste la possibilità di rivolgersi ai centri antiviolenza o ad altri servizi come quello denominato “Codice rosa”. Quest’ultimo è presente in alcuni pronto soccorsi, con l’obiettivo di fornire a tutte le vittime di violenza, sia essa fisica e/o psicologica, immediato supporto medico, psicologico, sociale e legale.