Nelle parole di Kabat-Zinn, a cui va il merito di aver validato scientificamente le pratiche di consapevolezza, la Mindfulness è
“Porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, al momento presente, in modo non giudicante, non critico e di accettazione”.
Kabat-Zinn
Jean Kristeller ha intuito che lo stesso atteggiamento attento e non giudicante può essere riportato all’atto del mangiare. Così facendo, ha ideato un protocollo, l’MB-EAT, che insegna alle persone a liberarsi dalla schiavitù del cibo e dai condizionamenti mentali che portano a sofferenza e a comportamenti alimentari disfunzionali. Insegna inoltre alle persone a prendere scelte consapevoli e ad autoregolarsi, affidandosi alla propria naturale e innata capacità di auto-gestione alimentare.
Siamo in grado di autoregolarci
Si, perché nessuno ci insegna questo: l’ipotalamo svolge esattamente questo lavoro. Tendiamo ad affidarci a programmi alimentari esterni e a trovare fuori da noi stessi qualcuno che ci indichi la strada da seguire, in molti campi della nostra vita, non escluso quello alimentare: quanto mangiare, cosa mangiare, cosa evitare, etc. etc…
In realtà abbiamo un Grande Saggio interno, una sorta di nutrizionista interiore, l’ipotalamo per l’appunto, che, essendo impiantato nel nostro stesso corpo, è il miglior deputato a questo ruolo. Attraverso dozzine e dozzine di segnali chimici, ci fa sentire la fame e la sazietà, in maniera intuitiva e molto chiara. Se hai mai dato da mangiare ad un neonato, puoi vedere questo straordinario meccanismo in azione: quando il bambino è sazio, sputacchia il cibo e, a meno che tu non lo ingozzi (e – a proposito – non farlo!), il bambino non mangerà più. Poi, quando avrà nuovamente fame, piangerà per reclamare cibo.
Siamo mammiferi
E, in quanto tali, abbiamo un istinto innato riguardo a molte cose, fra cui l’alimentazione. In particolare, il nostro ipotalamo ci manda segnali per indicarci che è ora di introdurre un po’ di calorie e che è possibile o meno fare un po’ di moto. E tutto questo, senza che nessuno ce lo abbia insegnato.
Un esperimento degli anni ’30 [Davis, C.M. (1939) Results of the Self-Selection of Diets by Young Children. Canadian Medical Association Journal 41 (1939): 257-261] ha messo in evidenza che bambini con età compresa fra i 6 e gli 11 mesi osservati per una settimana ai quali veniva offerta una varietà di cibo sul vassoio, mangiavano un appropriato numero di calorie con una distribuzione adeguata fra i vari nutrienti, come se fossero guidati da un nutrizionista interiore. Un esperimento del 2000 [Rolls, B.J., Engel, D., Birch, L.L. (2000) Serving Portion Size Influences 5-Year-Old But Not 3-Year-Old Children’s Food Intakes. Journal of the American Dietetic Association 100; 232-234] ha mostrato che i bambini di 3 anni mangiano una quantità appropriata di pasta al formaggio da una porzione molto ampia… mentre i bambini di 5 anni tentano di mangiarla tutta!
Abbiamo una neocorteccia molto sviluppata
Il che è un bene, ma potrebbe, talvolta, non esserlo. Questa zona, che negli esseri umani è molto più complessa rispetto a quella di qualsiasi altro mammifero, ci permette di essere capaci di funzioni di ordine superiore, come la memoria di lavoro, il ragionamento, il comportamento esplorativo e l’intelligenza complessiva. Tutte belle cose: è ciò che fa di noi degli esseri evoluti.
Eppure talvolta riusciamo, con le nostre “funzioni superiori”, ad interferire in maniera negativa in atti semplici e che sarebbero del tutto naturali mangiare, ad esempio!
Siamo capaci di disconnetterci totalmente dalla nostra esperienza alimentare, lavorando con la mente mentre mangiamo con il corpo: ecco che, ad esempio, mangiamo e guardiamo la TV.
Mentre mangiamo facciamo miriadi di cose, proprio grazie alla neocorteccia: guardiamo un film, controlliamo le e-mail, parliamo con qualcuno, lavoriamo al PC o, semplicemente, vaghiamo con la mente. Questo ci allontana dalla nostra saggezza interiore, ovvero da quell’istinto primordiale che ci dice esattamente quando cominciare a mangiare e quando smettere, senza che ce lo imponiamo o che lo avvertiamo come qualcosa di faticoso.
Il falso mito del multitasking
Il perché questo accada è semplice da capire, se consideriamo che, sebbene il nostro corpo sia multitasking, la nostra attenzione non lo è. Possiamo, dunque, svolgere diverse azioni contemporaneamente, ma non essere attenti contemporaneamente a tutte le azioni che stiamo svolgendo. Possiamo ri-orientare la nostra attenzione da un compito all’altro, ma non possiamo dividere contemporaneamente (esattamente nello stesso istante) la nostra attenzione fra più compiti. Ne va da sé che, se mangiamo e leggiamo le notizie al giornale, perderemo delle informazioni dell’uno o dell’altro compito.
Come mai ci siamo distaccati così tanto dal mammifero che è in noi?
Perché, come se non bastasse, siamo anche capaci di immaginare ciò che pensano gli altri, ciò che piace agli altri, le reazioni degli altri quando ci vedono, compresi i loro giudizi. E questo ci condiziona. Condiziona le nostre convinzioni rispetto all’aspetto che vogliamo avere, alla forma che pretendiamo il nostro corpo abbia. E, di conseguenza, ci imponiamo un certo comportamento alimentare e/o un certo livello di allenamento. Ecco che mangiare, correre e saltare non sono più attività naturali e piacevoli, legate alla nostra natura, ma diventano un qualcosa di artefatto, difficile, che richiede un manuale di istruzioni (esempio: programma alimentare).
Cosa possiamo fare per ritornare ad essere mammiferi felici, naturalmente sani e in forma?
La Mindful Eating ci insegna esattamente a fare questo:
A riconnetterci con il nostro corpo e a mangiare con consapevolezza, guidati dalla nostra saggezza interiore e non da un manuale di istruzioni a cui attenerci.